martedì 25 agosto 2015

224. "Adesso, immortalità, sei tutta mia"

Heinrich von Kleist proveniva da una famiglia di nobili ufficiali prussiani. Dopo la morte di suo padre, Joachim Friedrich von Kleist, nel 1788, viene cresciuto da Samuel Heinrich Catel a Berlino. Nel 1792 entra nell'esercito a Potsdam e nel 1793 partecipa alla guerra contro la Francia sotto Ernst von Rüchel. Nel 1797 viene promosso tenente, ma a questo punto ha già iniziato privatamente a studiare matematica e filosofia.
Nel 1799 lascia l'esercito ed entra all'Università di Brandeburgo. Nel 1799 si fidanza con Wilhelmine von Zenge, la figlia di un generale. La famiglia di lei insiste a tal punto per farlo tornare al servizio dello stato che lui alla fine cede e interrompe gli studi  nel 1800 entrando al servizio della Prussia. Ben presto, però, nel 1802, si stabilisce in Svizzera, perché vuole vivere a contatto con la natura. Il suo fidanzamento si conclude, perché Wilhelmine non vuole vivere come una contadina.
Conosce Goethe e Schiller e decide di voler fare il poeta. Torna in Germania. Trascorre l’esistenza vagando per mezza Europa (Germania, Italia, Francia, Svizzera), in condizioni economiche disastrose, senza mai riuscire a raggiungere una stabilità “ambientale” e finanziaria.
Kleist ha un rapporto complicato con la vita, in particolare con la sua. Questa tensione si riversa inevitabilmente nelle opere, spesso testi troppo all’avanguardia per l’epoca. Emblematico un episodio riguardante il dramma incompiuto "Roberto il Guiscardo". A Parigi, dinanzi l’impossibilità di concludere il testo, Kleist è colpito da una grave crisi che lo porta a compiere un gesto estremo, folle, tragico. Ecco quello che scrive alla donna, forse, più importante della sua vita, la sorellastra Ulrike: "…ho riletto, ripudiato e bruciato la mia opera fin dove era compiuta: e ora è finita. Il cielo mi nega la gloria, il più grande dei beni della terra…». Solo uno scrittore vero, come ce ne sono pochi al giorno d’oggi, sa cosa significhi distruggere una propria creatura letteraria, alla quale ci si è dedicati giorno e notte con tutte le energie… Un dolore immenso."
La povertà e il mancato successo letterario lo fece scivolare nella depressione e iniziò a pensare al suicidio.
Nel 1809 conosce Henriette Vogel. Diventano amici intimi, ma lei è sposata.  Henriette ha un cancro all'utero ed è, come lui, priva d’avvenire. Tra loro si crea subito un legame forte, talmente forte da fargli decidere di porre fine alle loro sofferenze insieme.
L’ultimo capolavoro di Kleist è la sua morte. Nel 1811, definitivamente sul lastrico, ritorna nella città natale, Francoforte sull’Oder, per chiedere aiuto ai familiari. Il tentativo è fallimentare. Umiliato dal rifiuto, scrive alla cugina Marie: «…vedermi considerato da loro un membro assolutamente inutile dell’umana società, non più degno di alcuna simpatia, mi addolora estremamente». Nella stessa epistola affiora la volontà di morire: «…la mia anima è così ferita che, direi quasi, quando metto il naso fuori dalla finestra, la luce del giorno che lo colpisce mi fa male…». È questione di pochi giorni ormai.
E' il pomeriggio del 21 novembre 1811 quando Heinrich von Kleist e Henriette Vogel si recano su un'altura situata ai margini della foresta, presso il lago Kleiner Wannsee. Si siedono ad un tavolo da giardino che si sono appositamente procurati, bevono caffè, vino e rum. Sono all'incirca le 4 del pomeriggio quando il poeta tira fuori dal cestino da picnic due pistole. Prima spara al petto di Henrietta e poi si spara in bocca. Un epilogo degno dei suoi drammi.
L’esistenza di un poeta non può che essere tormentata, Kleist ne è un esempio lampante, e solo nella morte egli può finalmente trovare l’immortalità, la gioia, e la serenità nella vita tanto vanamente agognate. Il poeta però non può dissolversi nel nulla senza scrivere all’amata sorella una toccante lettera di commiato. Ed è con queste parole che Heinrich saluta Ulrike:

 «Non posso morire senza essermi riconciliato, contento e sereno come sono, col mondo intero e soprattutto con te, mia carissima Ulrike. Lascia, l’affermazione precisa è contenuta nella lettera ai Kleist, lascia ch’io mi ritiri. In realtà, tu hai fatto per me non dico quanto stava nelle forze di una sorella, ma nelle forze di una creatura umana, al fine di salvarmi: la verità è che per me non c’era aiuto possibile sulla terra. E ora addio; possa il cielo donarti una morte solo così gioiosa e indicibilmente serena come la mia: questo è l’augurio più cordiale e più profondo che io possa concepire per te.»

La notte prima di uccidersi, i due avevano scritto le rispettive lettere d'addio e le avevano spedite il giorno della loro morte. Fu la stessa Henriette che dichiarò che voleva essere sepolta con Heinrich. Vennero sepolti nel punto in cui erano morti, perché, in quanto  vittime di suicidio, non era consentita la sepoltura in un cimitero.
La tomba presenta oggi un aspetto sobrio: senza busto né ritratto, solo con la lapide che riporta il nome, la data di nascita e di morte del poeta. La lapide di Henriette, una piccola semplice targa, giace accanto a quella più imponente di Heinrich.
Nel 1936, i nazisti fecero incidere il blocco di pietra. Rimossero la scritta originaria ("Er lebte, sang und litt / in trüber schwerer Zeit, / er suchte hier den Tod, / und fand Unsterblichkeit": "Egli visse, cantò e soffrì / in tempi cupi e difficili / cercò qui la morte / e trovò l'immortalità" - Matteo 6, versetto 12) e al suo posto scrissero una citazione tratta dal "Principe di Homburg" di Kleist: "Nun, o Unsterblichkeit, bist du ganz mein" ("Adesso, immortalità, sei tutta mia").
In occasione del 200° anniversario della morte di Kleist, nel 2011, la Bundeskulturstiftung (Fondazione federale per la cultura tedesca) ha dato alla tomba un nuovo assetto ed è stato realizzato un parco tra la tomba e la stazione di Wannsee, secondo i progetti di un concorso internazionale di artisti.





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